Domenica
6 Novembre, alle ore 17, l’Autore presenterà il suo nuovo romanzo «Otel
Bruni» al Giardino delle Idee (Via San Lorentino, 8 presso l’auditorium
del Museo di Arte medioevale e Moderna). Intanto una anticipazione sul
romanzo e sul suo Autore.
Quando
ho chiuso il romanzo “Otel Bruni” a pagina 358, quando ho capito che la
storia si chiudeva sull’ultimo ospite di questa accogliente stalla (un
luogo magico che racchiude in sé le anime dell’ostello, della taverna,
dell’osteria, del convento e dello spedale), confesso di essermi
commossa. Di quella commozione che è un misto di nostalgia (quella verso
i personaggi che richiudi dentro le pagine e quella per il mondo che ti
hanno raccontato), di malinconia (quella che non è tristezza ma
riflessione profonda su ciò che si è appreso) e di tenerezza (per ogni
singolo personaggio che ha transitato da quelle pagine agli occhi e da
lì dritto alle emozioni). Avrei potuto giurare, chiudendo questo
romanzo, che scriverne una recensione sarebbe stato facile; perché in
fondo è facile scrivere e raccontare di qualcosa che ti è piaciuto
tanto. E scopro invece, di fronte allo schermo, che è forse quella più
difficile che mi sia trovata a scrivere fino ad ora. Perché in fondo –
chi ha radici solide nel mondo contadino, proprio come me – questo
romanzo in parte lo ha vissuto sulla propria pelle e ad ogni singolo
personaggio della storia può attribuire un nome diverso, un volto, un
suono di voce, un’inflessione dialettale ed una storia di vita, persino
un abito e un odore, di alcuni può anche descriverne i gesti o il modo
di camminare. Per questo è difficile: è come recensire la vita dei
propri nonni, dei propri genitori e di parte della propria infanzia; è
come entrare nei ricordi e ritrovare cose credute perse e vive dentro
tanto da far male. Ma ci posso provare.
La
famiglia Bruni è una famiglia che racconta la storia italiana dal primo
decennio del 1900 fino alla fine della seconda guerra mondiale
attraverso gli occhi di un mondo contadino. Il tempio, il témenos, entro
cui si snoda il racconto è la grande stalla (grande come una
cattedrale) in cui – nelle serate invernali – si incontrano personaggi
straordinari: viandanti, mendicanti, soldati, donne impazzite di dolore,
aedi e narratori, filosofi e paesani, giovani che si innamorano e
passioni politiche che si scontrano, contafavole e stranieri erranti.
Chiunque viene accolto dalla grande famiglia Bruni, indipendentemente
dalla sua storia (che non viene mai chiesta a nessuno) e
indipendentemente dal motivo per il quale si trova a passare da lì. I
protagonisti sono la Clerice e Callisto, una solida coppia, e i loro 9
figli, 7 maschi e due femmine. Ognuno, alla nascita, avrà nel cuore
della madre un suo destino: Floti il più precoce a camminare, esplorare,
parlare, sarà quello attraverso gli occhi del quale ci saranno narrati
gli orrori della Prima Guerra Mondiale; poi c’è Francesco che impara a
ridere prima che piangere e sorridere e che sarà piegato come un giunco
dal dolore del lutto nella Seconda Guerra Mondiale. Gaetano, forte fin
da piccolo e fragile per amore. E Armando, forse non troppo sveglio e
fragile emotivamente ma che in ogni attimo della sua vita di marito
dimostrerà quanto è grande la forza di un amore anche contro tutte le
apparenze. E le femmine: Rosina e il suo destino di donna sposata ad un
uomo geloso e gelosamente violento. Una donna che sa di non poter far
altro che accettare di essergli moglie ma che rifiuta di accettare la
costrizione. Maria, piccola e fragile ma solo in apparenza e con la
forza di un mastino per difendere il suo amore e suo figlio. Una grande
famiglia all’interno di un contenitore che è la memoria collettiva. Una
famiglia in cui i valori della cristianità si mescolano a quelli della
magia e ella superstizione e dove la stretta di mano ha lo stesso valore
di un contratto. Dove l’amicizia e la solidarietà non sono sentimenti
riservati alla ristretta cerchia del proprio mondo ma si espandono
all’umanità dentro la quale c’è ognuno di noi. Illuminante il pensiero
di Callisto (il reggitore della famiglia) quando ospitando ogni soldato
che bussa alla sua porta durante la prima guerra mondiale spera in cuor
suo che ci sarà qualcuno che ospiterà – in caso di bisogno – ognuno dei
suoi sette figli.
È
straordinario Valerio Massimo Manfredi a tratteggiare la storia
volandoci sopra con singole e struggenti storie personali: il senso
della politica, ad esempio, è racchiuso in un pensiero semplice e
profondo allo stesso tempo, elaborato da uno dei nipoti della Clerice e
di Callisto. Fabrizio incontra Rossano, il suo amico d’infanzia, con la
divisa fascista (una ideologia che lui rifugge e combatterà come
partigiano) e Rossano gli rivela che quell’uniforme è diventata il suo
abito normale. Ed è lì che Fabrizio comprende che quando un’uniforme si
identifica con la persona l’idea che rappresenta non è più politica ma
religiosa e quando divide due amici cresciuti insieme non è una idea
positiva. Semplice; ma ferocemente profondo.
La
storia personale di una famiglia dentro la storia dell’uomo in un
secolo cupo fra due guerre devastanti, il fascismo, le lotte di classe e
la guerra civile. La storia di una famiglia che regge l’impatto con la
crudeltà degli eventi perché sostenuta con forza dai quei valori che
venivano trasmessi nella narrazione, in quelle notti fredde passate
dentro una stalla tutti assieme a parlare di sé e di come va il mondo.
Una storia fatte di paesaggi umani la cui bellezza nasce dal senso di
“comunità” che trascende e sospende il giudizio sull’altro e dove
l’altro è semplicemente colui che domani potrebbe sostenerti nel
bisogno. Una storia che urla la nostalgia di un mondo in cui il
fondamento della serenità era lo scambio umano e la parola attraverso
cui ognuno esprimeva il senso profondo della sua esistenza.
La
biografa dell’Autore è ricca e avventurosa: ha viaggiato veramente
negli angoli più remoti del mondo, ci ha raccontato attraverso i suoi
saggi ed i suoi romanzi la vita dell’uomo attraverso i secoli. Ha
insegnato ai giovani il senso e il dono della memoria e della ricerca
attraversando la storia da prestigiose cattedre universitarie nazionale
ed estere. Lo abbiamo seguito in televisione con i suoi documentari.
Raccontare la sua vita richiederebbe forse qualcosa di più di una
semplice biografia che accompagna una recensione e per informazioni più
dettagliate vi consiglio di visitare il suo sito ufficiale. http://www.valeriomassimomanfredi.it/tool/home.php
Qui basta ricordare che Valerio Massimo Manfredi è nato a Piumazzo di
Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, nel marzo del 1943. Si
laurea all’Università di Bologna in Lettere Classiche e prosegue
specializzandosi in Topografia del Mondo Antico presso l’Università dal
Sacro Cuore di Milano fissando definitivamente il filo che legherà la
sua vita all’archeologia ed alla storia. Partecipa a numerosi scavi in
varie parti del mondo e produce non poche pubblicazioni a carattere
accademico e scientifico. Nota la sua attività di conduttore televisivo
di trasmissioni di divulgazione storico/archeologica e storica
(“Stargate – Linea di confine” ed “Impero” sul LA7) Nel 2003 registra un
documentario audio sulla figura di Alessandro Magno, usando il lavoro
di ricerca svolto per la sua trilogia di romanzi di Aléxandros. È autore
di soggetti e sceneggiature per la televisione e per il cinema.Nel 2003
registra un documentario audio sulla figura di Alessandro Magno, usando
il lavoro di ricerca svolto per la sua trilogia di romanzi di
Aléxandros. PNel 2003 registra un documentario audio sulla figura di
Alessandro Magno, usando il lavoro di ricerca svolto per la sua trilogia
di romanzi di Aléxandrosiù che noti i suoi romanzi tradotti in tutto il
mondo (circa 8 milioni di copie vendute è la stima ufficiale). Fra i
riconoscimenti ottenuti a livello internazionale spiccano: nel 1999 “Man
of the Year” American Biographical Institute, Raleigh, North Carolina;
nel 2003 nomina a Commendatore della Repubblica “motu proprio” del
Presidente Carlo Azeglio Ciampi, il premio Corrado Alvaro Rhegium Julii
(2003) e premio Librai Città di Padova, nel 2004 il Premio Hemingway per
la narrativa, e nel 2008 il premio Bancarella. Collabora con
“Panorama”, “Il Messaggero” e “Airone”. Ha collaborato inoltre a
“Archeo”, “Gente Viaggi”, “Traveller”, “Soprattutto”, “Primopiano”,
“Grazia”, “Focus” (edizione italiana e spagnola) e con “El Mundo”.
INTERVISTA
Laura
– Innanzitutto, professore, grazie per la disponibilità all’intervista
e mi permetta di ringraziarla, ancora prima di cominciare, per un
aspetto del suo romanzo che mi ha profondamente coinvolto. In “Otel
Bruni” le donne hanno un ruolo fondamentale, non scontato. Lei ha
tratteggiato la figura femminile definendola dignitosamente dentro le
pieghe di una storia crudele ma esaltandola per il coraggio, per la
forza, per la volontà e per la grande capacità di sopportare lutti e
dolori con il pudore di chi è consapevole che di “dolore non si muore”.
Io voglio ringraziarla per questo e per la capacità di non descrivere le
donne solo come madri piangenti o mogli passive. Grazie per la carezza
ideale e per la delicatezza che ha riservato alle donne ammalate, a
quelle anziane, a quelle folli, a quelle innamorate e a quelle
rassegnate.
Passo
subito alle domande: il suo romanzo è ambientato in luoghi dove lei è
nato. La narrazione è intensa, toccante, profondamente emotiva. La
sensazione è quella di leggere un intimo diario, un percorso personale
di ricerca del sè attraverso la memoria collettiva. Sbaglio?
VALERIO
– Non sbaglia affatto. I Bruni erano il ramo materno della famiglia di
mia madre. In altri termini Maria Bruni, uno dei personaggi più
importanti del romanzo, era mia nonna. Queste storie le ho sentite
raccontare in famiglia tante volte così ho finito per credere che fosse
tutto normale cosa che non è. Le donne vi hanno una parte importante
perché così era. L'arzdoura, ossia la "reggitrice", era il titolo che
competeva alla madre di famiglia che godeva di grande prestigio sia in
famiglia che fuori. È una vicenda formidabile, magica, drammatica,
incredibile. Quando me ne sono accorto ho pensato fosse venuto il tempo
di raccontarla. In più quel mondo, il mondo contadino che non esiste
più, andava tramandato alla memoria.
Laura
– La storia della famiglia Bruni ha un tema conduttore che culmina nel
finale: è il tema di una famiglia che “accoglie”, che ascolta, che si
prende cura dell’uomo attraverso l’ospitalità, indipendentemente
dall’uomo che si ospita e sospendendo il giudizio sull’altro. Che valore
attribuisce a questo comportamento umano?
VALERIO
– Era un comportamento ispirato dalla formazione cristiana, il concetto
che tutti sono il prossimo, che nel più miserabile dei viandanti e dei
senzatetto, può nascondersi Dio stesso che un giorno terrà conto di
come lo abbiano accolto sotto le spoglie di un mendico che non avrebbe
mai potuto ricambiarci. È anche una necessità di quel tipo di vita:
aiutarsi l'un l'altro rendeva possibili grandi opere come l'aratura, la
trebbiatura, la battitura della canapa. Tuttavia l'ospitalità dei Bruni
era fuori dal comune tanto che divenne proverbiale e la loro stalla
enorme come una cattedrale fu il luogo di accoglienza di chiunque,
passando nella notte, sorpreso da un temporale o da una tormenta di
neve, chiedesse ospitalità e rifugio. Oggi abbiamo conquistato
condizioni di vita più agiate, viviamo più a lungo e il cibo non manca a
nessuno ma non possiamo più permetterci di accogliere chiunque per
timore di essere derubati, picchiati, a volte uccisi. Viviamo con
sistemi d'allarme e porte blindate. Tutto si paga.
Laura
– Leggendo il suo romanzo ho avuto l’impressione che il sentimento
dominante sia la “nostalgia”, non quella intesa come malattia dell’animo
umano o quella dell’Ulisse inquieto; la nostalgia, piuttosto, che tende
al passato per recuperarne il senso e soprattutto ciò che è ritenuto
migliore del qui ed ora. Se non ho sbagliato interpretazione: lei,
cos’ha ritrovato attraverso questo romanzo?
VALERIO
– Ho riesplorato ciò che in realtà già sapevo: che un vero uomo è
generoso, onesto, che mantiene la parola data, che sta sempre dalla
parte dei deboli contro i più forti e arroganti, che rispetta le donne
ed è baluardo e protezione per la sua famiglia. Certo: nostalgia. Quando
vedo ragazzotti viziati e maleducati mancare di rispetto agli anziani,
ignorare chi ha bisogno, deridere o insolentire chi è troppo lento ad
attraversare le strisce non per pigrizia ma per età avanzata. Quando li
vedo appesi a un cellulare per ore, o incollati a una playstation tutto
il giorno invece che a fare qualcosa di utile e guadagnare qualcosa di
ciò che stanno spendendo. Quando li vedo petulanti, superficiali,
insofferenti di qualunque sacrificio o disciplina, sì, la nostalgia
viene. Per fortuna ve ne sono ancora di molto bravi e capaci. Speriamo.
Laura
– L’Otel Bruni è anche un luogo simbolico, è il luogo dove le famiglie
contadine si raccoglievano per parlare, per passare le serate durante le
“veglie” invernali. Una tradizione in parte persa, di cui resta traccia
forse nella memoria di bambino di chi ha la mia età (perché io me lo
ricordo bene il calore della stalla a dicembre e la voce del rimatore
che cantava e il caffè d’orzo bollente…). Leggendo questa storia ho
avuto la sensazione netta (e prima solo abbozzata) che la nostra cultura
ha perso il gusto della parola e con essa il gusto di narrarsi. Che
prezzo paghiamo o pagheremo per questo?
VALERIO
– Il prezzo già abbastanza alto dell'emarginazione, della solitudine o
della socialità elettronica cioè virtuale. La parola è una necessità
per gli esseri umani e lo prova il fatto che (grazie a Dio) ancora si
riempiono le piazze con i festival della letteratura e della filosofia.
Laura
– Rispetto alla sua precedente produzione letteraria, questo romanzo
ha un’ambientazione narrativa completamente diversa e sembra davvero
scritto come per una emergenza emotiva. Come è nata dentro di lei questa
storia? C’è un evento che l’ha ispirata?
VALERIO
– Sì, c'è. Mio figlio Fabio Emiliano ha scelto come tesi di laurea
triennale di riesumare un "cold case", un caso irrisolto di omicidio
avvenuto al mio paese il 19 maggio del 1946 e di cui fu accusato e
condannato Armando Bruni. Il ragazzo ha svolto un lavoro straordinario
arrivando di fatto a ribaltare il verdetto della corte. Il cerchio era
chiuso. Era venuto il tempo di raccontare la storia dei Bruni.
Laura
– Chi ha letto o leggerà il suo romanzo si renderà conto che questo
evento è un episodio importante nel pre-finale del suo racconto; ma a
questo punto viene voglia di chiedere a suo figlio se non potrebbe
raccontarcelo anche a noi il “cold case” attraverso un racconto o un
breve romanzo. Anche perché è difficile adesso reggere l’impatto con la
curiosità di sapere tutto su questo thriller storico-legale!
Ancora una domanda: ce lo consiglia un libro, uno di quelli che le hanno lasciato dentro le emozioni più forti?
VALERIO – Le «Novelle» di Giovanni Verga. Lo trovo insuperabile.
Laura
– Adesso le propongo un gioco, che ho proposto ad ogni Autore
intervistato. "C'era una luce strana, quella mattina, come se facesse
fatica a superare un immaginario ostacolo...". Continui lei l’ipotetico
incipit…
VALERIO
– C'era una luce strana, quella mattina, come se facesse fatica a
superare un immaginario ostacolo. Pensai che fosse l'effetto dell'ora
legale che si lasciava indietro il sole, ma non era quello: ero abituato
ad aspettare il sole e a misurarne la luce. E non era solo una
questione di luce: i merli tacevano, e si sentiva invece, in lontananza,
il verso lamentoso e insistente dell'assiolo. Infilai una vestaglia e
scesi la scala principale. Il suono dei miei passi avvertiva di solito
la mia cameriera che stavo arrivando e le dava il tempo di versare dalla
cuccuma il caffè bollente in una chicchera di Sèvres. Ma Lina non
c'era e la cucina era in perfetto ordine. L'orologio era fermo. Mia
moglie non c'era ma non c'era nemmeno lo sticker giallo appiccicato
alla porta in cui spiegava che era in palestra e che sarebbe tornata
prima delle dieci. Non l'aveva mai dimenticato una volta sola. Cercai
di chiamarla con il cellulare ma non c'era linea e nemmeno nel telefono
fisso.
Il
mio pastore tedesco non era seduto davanti alla porta aspettando come
tutte le sante mattine la crocchetta di pollo. Del mio mondo non stava
funzionando niente!
Laura
– Vorrei spudoratamente chiederle di iniziare da qui il suo prossimo
romanzo perché le giuro che sono curiosissima di sapere cos’ha alterato
il normale andamento temporale della vita di quest’uomo! La ringrazio
ancora.