mercoledì 9 novembre 2011

Curiosità, libri consigliati

Torna lo 007 dell'antica Roma
Publio Aurelio Stazio indaga in Egitto





 






di Valerio Massimo Manfredi
Nuova avventura per Publio Aurelio Stazio, il senatore-investigatore più famoso dell’antica Roma. Esce martedì 8 il romanzo Tabula rasa di Danila Comastri Montanari (Mondadori - Omnibus italiani; 250 pag; 13.90 euro). Su richiesta dell’imperatore Claudio, l’investigatore si reca ad Alessandria d’Egitto, incaricato di una missione riservatissima che riguarda i rapporti con i parti, da sempre nemici di Roma. Durante il suo soggiorno vengono trovati i resti di due fanciulle giovanissime, seguaci di Bast, l’antica dea gatta. La saga di Publio Aurelio Stazio conta circa quindici titoli.

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Danila Comastri è l’autrice di un genere narrativo tutto suo che ha ormai una folta schiera di aficionados in Italia e all’estero. Si tratta di una curiosa e geniale miscela di poliziesco e di ambientazione antica che ha avuto e ha importanti omologhi soprattutto stranieri. Ma la cifra della Comastri è particolare e si traduce in sostanza nel gusto di raccontare, di incantare e trascinare il lettore. Padroneggia con disinvoltura l’ambiente che ben conosce. Ed evita le numerose trappole in cui cadono per insipienza altri improvvisati narratori del passato. Certo gli anacronismi non mancano ma sono intenzionali e comunque lievi, mai insistiti e quasi sempre divertenti. L’ambientazione antica del giallo costringe l’autrice a trasferire in un’epoca remota le tecniche investigative tipiche della contemporaneità senza violentare la cultura del tempo con trovate improbabili.

La sua ispirazione è complessa e molto varia: nelle sue storie c’è la commedia nuova alla maniera di Menandro antesignana della nostra commedia dell’arte con i suoi personaggi tipici: il servo malandrino, la schiava avvenente, il maneggione, il marito cornuto, ma c’è la spy-story alla James Bond, l’intrigo internazionale, la frequente strizzata d’occhio al presente per non parlare dei transfert materialmente tradotti dalla contemporaneità per cui il nasino alla francese diventa il naso celtico, il toccarsi gli attributi diventa l’apotropaico e goliardico testiculos tangere. Alla traversata velica dell’Atlantico corrisponde la traversata in solitario del Mare Nostrum. Né mancano i richiami al latino proverbiale di Asterix a sua volta mutuato dal curialesco-filosofico che sempre è ufficialmente annunciato nel titolo (In corpore, vili, dura lex, in cauda venenum, Tabula rasa etc). Non manca, in questa ultima sua fatica una citazione, mutatis mutandis nientemeno di Totò: «Greci si nasce e io lo nacqui» per non parlare del coccodrillo sacro che richiama irresistibilmente quello di «Romancing the stone» (All’inseguimento della pietra verde).

Il protagonista fisso e seriale è Aurelio Stazio, senatore, intimo amico dell’imperatore Claudio per affinità intellettuali e affettive (è stato il suo primo e unico allievo nell’apprendimento dell’etrusco), donnaiolo impenitente, ricco, raffinato, elegante, curioso, affascinante. George Clooney sarebbe perfetto tanto per capirci, solo che al posto dello smoking d’ordinanza dovrebbe indossare una più impegnativa sinthesis, abito da sera per i pranzi di rappresentanza.

A differenza di altre storie Tabula rasa è ambientata fuori dell’Italia, in Egitto. E quale luogo migliore che la spettacolare, monumentale, raffinata, intrigante Alessandria? La metropoli multiforme, multietnica, incantatrice, coltissima, luogo privilegiato di scienziati, poeti, mercanti, ladri, funzionari, spie, etere (le escort dell’epoca) castrati, necrofori, lenoni, fattucchiere e tagliagole.

Qui il nostro Aurelio trova pane per i suoi denti: il governatore-prefetto d’Egitto moribondo per un male incurabile, sostituito da un vice improbabile con mogliettina ventenne, cleptomane e nevrotica e con mania di persecuzione (ma sarà poi una mania?), un principe parto in visita ufficiale con incarico diplomatico, un’etera costosissima inclusa nel pacchetto d’accoglienza del l’ambasciatore partico in visita ufficiale, una imbalsamatrice di cadaveri e un brulicare di spie in tutti i cantoni. Come se non bastasse, un coccodrillo sacro perennemente in agguato e, quasi subito un cadavere, anzi due, in differenti stadi di conservazioneputrefazione. Ça va sans dire che Il segugio più sagace dell’Urbe e dell’Orbe affida l’esame necroscopico alla imbalsamatrice la quale, dietro esoso compenso, legge un cadavere come un libro aperto, decifra la salma come un papiro dell’antico regno: trattasi di una ragazza di una ventina d’anni, che portava uno scialle di bisso giallo su cui si riesce ancora a leggere in greco la scritta «la splendente». Una giovane prostituta? Una ragazza della buona società? Lo stato di evoluzione delle larve di mosca fa pensare che la morte sia intervenuta da tre giorni, i segni sul collo, per strangolamento.

Il nostro eroe vorrebbe dedicarsi subito a quell’indagine ma intanto si è accorto che qualcuno gli ha soffiato la segretissima lettera credenziale dell’imperatore sulla base della quale egli risulta incaricato di una missione delicatissima: a Roma sono corse voci di possibili sabotaggi alle forniture di grano egiziano all’Urbe e di una misteriosa talpa che passerebbe informazioni riservate di natura militare e tecnologica al nemico (il perfido Parto) fra cui i piani di un ariete di ultima generazione, il top della poliorcetica che, se in possesso del nemico gli darebbe enormi vantaggi nel caso di un’invasione.

Quella di Aurelio è di fatto una lettera credenziale di pugno dell’imperatore che gli dà facoltà di condurre con l’ambasciatore parto, principe Orote, una serrata trattativa per stabilire un lungo periodo di pace fra le due superpotenze. L’arrivo di Orote ad Alessandria con relativi ricevimenti, il permesso di installarsi con la sua tendopoli nel cuore della città assieme alle amazzoni che costituiscono la sua guardia del corpo somiglia in modo impressionante al ricevimento a Roma del povero Gheddafi ma le sorprese non finiscono qui. La lettera rubata viene restituita ad Aurelio dal facente funzione di governatore con tante scuse per la povera mogliettina cleptomane psicopatica e il principone orientale sembra troppo idiota per poter condurre una trattativa così delicata. Insomma la matassa viene ingarbugliata a dover e perché poi il nostro Aurelio, padre coscritto, patrizio epicureo e brillante investigatore aiutato dall’infido ma costante liberto Castore, riesca alla fine (e chi potrebbe dubitarne?) a risolvere l’intricatissimo caso.

Ci troviamo insomma di fronte ad un caso in cui una persona abile e competente ha manipolato l’antichità con quel minimo di sfrontatezza che esige il registro comico ma pur sempre con il rispetto delle fonti, della scienza antichistica, antiquaria, epigrafica numismatica e quant’altro. Come dire: est modus in rebus.

Più volte si è tornati ad analizzare le ragioni del successo dell’antico, sia in letteratura che nel cinema, successo che sembra non conoscere tramonto e che suscita una miriade di narratori e anche di produttori cinematografici e televisivi. Pensiamo alla serie sulla storia di Roma uscita da Mondadori, alle mega serie televisive Rome e Spartacus. La prima veramente notevole, ahimé troppo tagliata nella versione italiana.

Certo, il fascino dell’antico è più che comprensibile specie se consideriamo quanto poco eccitante sia il presente. Altre epoche, scenari esotici, contrasti fortissimi, scenari meravigliosi fanno parte di questa fascinazione ma alla fine non v’è dubbio che vi siano in sostanza solo due generi di libri: quelli belli e quelli scadenti.

<<FONTE ilmessaggero>>

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