mercoledì 9 novembre 2011

Interviste, Bagradas

Bagradas: una graphic novel scritta a quattro mani da Valerio Massimo & Diana Manfredi

Creato il 04 novembre 2011 da Alessandraz
Il 3 novembre per la casa editrice Aliberti è uscita nelle librerie la graphic novel “Bagradas”, sceneggiata dal noto archeologo e romanziere Valerio Massimo Manfredi e la figlia Diana, laureata all’accademia di belle arti di Bologna. Un connubio quanto mai inedito il loro ma decisamente proficuo. Valerio Massimo Manfredi riprende la vicenda da lui narrata nel racconto breve “Bagradas” contenuta nell’antologia “Brivido nero” edito dalla Aliberti editore nel 2005 e la rielabora assieme alla figlia creando una graphic novel di forte impatto visivo.


La trama della graphic novel rielabora le vicissitudini di una legione romana di stanza presso il fiume Bagradas. La vicenda si sviluppa durante la prima guerra punica: l’esercito è in fermento perché di lì a poco attaccheranno la città di Cartagine. Strani accadimenti e soprannaturali sparizioni tra i soldati portano lo scompiglio tra le truppe alimentandone la paura. Voci e leggende si rincorrono nell’accampamento fino a quando il comandante Attilio Regolo decide di chiamare un cacciatore di tracce per scoprire la verità. Quale verità si cela dietro quelle sparizioni? Cosa si nasconde nelle limacciose acque del fiume Bagradas? La storia già ricca di suspense e tensione si avvale delle potenti ed evocative tavole illustrate dalla giovane e talentuosa Diana Manfredi che riesce a carpire con maestria i tratti misteriosi e sovrannaturali che la storia porta con sé.

Bagradas: una graphic novel scritta a quattro mani da Valerio Massimo & Diana ManfrediTrama:
Valerio Massimo Manfredi racconta, ancora una volta, una storia intensa ambientata nell’antica Roma; Diana Manfredi, la figlia, ne coglie il lato più immaginifico e affascinante e lo interpreta in splendide tavole a colori. Il racconto Bagradas è ispirato a un celebre passo dello scrittore romano Valerio Massimo sui prodigi e sui fenomeni paranormali. Narra di strani e misteriosi accadimenti verificatisi al tempo della dominazione romana a un corpo di soldati romani inviati contro i Cartaginesi. L’esercito del console romano Attilio Regolo, sbarcato in Africa durante la prima guerra punica, si accampa lungo il fiume Bagradas. Misteriosamente alcuni dei soldati spariscono senza lasciare tracce, nemmeno i corpi vengono ritrovati. Non si trovano indizi, tracce di sangue, impronte: nulla! Questi accadimenti gettano nello sgomento l’intera truppa e sulle bocche dei soldati iniziano a circolare strane storie che parlano di mostri diabolici. Viene chiamato un esperto ichneuta, il cacciatore di tracce, per cercare di scoprire la verità e riportare la tranquillità perduta nell’accampamento. Scoprirà una realtà spaventosa contro cui un intero esercito si trova inerme… il mostro del fiume Bagradas!

Bagradas: una graphic novel scritta a quattro mani da Valerio Massimo & Diana ManfrediGLI AUTORI:
Valerio Massimo Manfredi: si è laureato in lettere classiche all'Università di Bologna ed ha una specializzazione in Topografia del Mondo Antico all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha insegnato nella stessa università, all'Università di Venezia, alla Loyola University Chicago, all'École pratique des hautes études della Sorbona di Parigi e alla Bocconi di Milano. Attualmente insegna, presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna, sede di Ravenna. Ha pubblicato molti articoli e saggi e ha scritto note opere di narrativa - soprattutto romanzi storici - tradotte in tutto il mondo (circa 10 milioni di copie vendute a livello internazionale). È autore di soggetti e sceneggiature per il cinema e la televisione, collabora come antichista a Il Messaggero e Panorama, come giornalista per Archeo, Focus ed altre riviste del settore. È sposato con Christine Fedderson, traduttrice inglese, e ha due figli. Diana Manfredi (Piumazzo di castelfranco Emilia, Modena, 1984) si laurea nel 2008 in pittura presso l'Accademia delle Belle Arti di Bologna. Nel 2007 si trasferisce a Berlino dove frequenta l'UDK, seguendo corsi in Comunicazione visiva e Belle Arti. Attualmente vive e lavora tra Roma, Piumazzo e Berlino.Bagradas: una graphic novel scritta a quattro mani da Valerio Massimo & Diana Manfredi


<<FONTE blog>>

Eventi, Il Prof. Manfredi 'conquista' la città

All’inizio era uno studioso, un archeologo. Girava il mondo per scavare e per cercare di svelare i grandi misteri della storia.
Stava diventando una specie di Indiana Jones quando scoprì la sua vena di scrittore.
Fu Alcide Paolini, dirigente della Mondadori, a convincerlo.
"Ero a Roma, su uno scavo, con i miei studenti della Cattolica di Milano, ospite dell’università di Roma che aveva fatto la grandiosa scoperta delle statue di terracotta di Lavinio", ricorda Valerio Massimo Manfredi. "Mi venne l’idea di una storia da scrivere e la raccontai a Paolini. Nacque Pallàdion".

Oggi Valerio Massimo Manfredi ha venduto oltre 15 milioni di libri in 23 lingue e 38 paesi.
“Oggi l’unità familiare è profondamente cambiata: il televisore e il videogioco hanno preso il posto della comunità. Molti genitori hanno abdicato di fronte ai social network rinunciando alla trasmissione personale di informazioni e contatti, di esperienza che rappresentano un tesoro inestimabile” cosi ha esordito il prof. Valerio Massimo Manfredi in occasione della presentazione del Suo nuovo libro dal titolo “Otel Bruni” (Mondadori Editore) che si è svolta domenica 6 novembre 2011 presso l’Auditorium del Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Arezzo.

Molte le domande poste dalle giornaliste Antonella di Tommaso, Barbara Bianconi e Nadia Frulli durante l’incontro alla quali il prof. Manfredi ha risposto con gentilezza e simpatia catturando l’attenzione di un pubblico attento e silenzioso.

“Quanto è importante che la Storia sia tramandata anche oggi di padre in figlio?” ha chiesto Antonella di Tommaso durante l’incontro.

“E’ molto importante”, ha risposto il prof. Manfredi “perché dà una stabilità emotiva alle nuove generazioni e una consapevolezza che si traduce in equilibrio. Un patrimonio di conoscenze e testimonianze chiave per ricostruire ed interpretare un’epoca”.

“L’attività di scrittore l’ha distratto da quella scientifica?” ha aggiunto Barbara Bianconi.

“In questo ultimo periodo” ha ricordato il prof. Manfredi “la parte accademica si è ridotta di molto. Ma insegno ancora Archeologia classica. Partecipo a spedizioni e sono ancora impegnato a preparare scavi”.

“Come nasce materialmente uno dei suoi romanzi?” ha domandato Nadia Frulli.

“Non voglio mai raccontare un’epoca” ha risposto il prof. Manfredi “ma una vicenda umana particolarmente intensa. Di qualunque vicenda si tratti. Il resto è solo ambientazione che però va indagata con molta diligenza e precisione”.

Questi soltanto alcuni numeri di un secondo pomeriggio letterario davvero speciale al Giardino delle IDEE:
185 posti prenotati online.
Moltissimo persone che hanno affollato il chiostro del Museo d’Arte Medioevale e Moderna sin dalle ore 15.00.
412 ingressi.
146 libri venduti.
3 minuti di applausi all’ingresso in sala del professore.
Una performance suggestiva, appassionata e coinvolgente delle Donne di Carta nel racconto di brani tratti dai libri del prof. Manfredi.
1 ora di diretta differita sul canale 824 Sky di Toscana Channel.
10 le tartarughe giganti realizzate dall’artista Andreina Giorgia Carpenito.
250 gli scatti artistici realizzati da Roberta Soldani e donati al professor Manfredi al termine dell’incontro in ricordo della giornata in terra di Arezzo.
<<FONTE arezzoweb>>

Curiosità, libri consigliati

Torna lo 007 dell'antica Roma
Publio Aurelio Stazio indaga in Egitto





 






di Valerio Massimo Manfredi
Nuova avventura per Publio Aurelio Stazio, il senatore-investigatore più famoso dell’antica Roma. Esce martedì 8 il romanzo Tabula rasa di Danila Comastri Montanari (Mondadori - Omnibus italiani; 250 pag; 13.90 euro). Su richiesta dell’imperatore Claudio, l’investigatore si reca ad Alessandria d’Egitto, incaricato di una missione riservatissima che riguarda i rapporti con i parti, da sempre nemici di Roma. Durante il suo soggiorno vengono trovati i resti di due fanciulle giovanissime, seguaci di Bast, l’antica dea gatta. La saga di Publio Aurelio Stazio conta circa quindici titoli.

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Danila Comastri è l’autrice di un genere narrativo tutto suo che ha ormai una folta schiera di aficionados in Italia e all’estero. Si tratta di una curiosa e geniale miscela di poliziesco e di ambientazione antica che ha avuto e ha importanti omologhi soprattutto stranieri. Ma la cifra della Comastri è particolare e si traduce in sostanza nel gusto di raccontare, di incantare e trascinare il lettore. Padroneggia con disinvoltura l’ambiente che ben conosce. Ed evita le numerose trappole in cui cadono per insipienza altri improvvisati narratori del passato. Certo gli anacronismi non mancano ma sono intenzionali e comunque lievi, mai insistiti e quasi sempre divertenti. L’ambientazione antica del giallo costringe l’autrice a trasferire in un’epoca remota le tecniche investigative tipiche della contemporaneità senza violentare la cultura del tempo con trovate improbabili.

La sua ispirazione è complessa e molto varia: nelle sue storie c’è la commedia nuova alla maniera di Menandro antesignana della nostra commedia dell’arte con i suoi personaggi tipici: il servo malandrino, la schiava avvenente, il maneggione, il marito cornuto, ma c’è la spy-story alla James Bond, l’intrigo internazionale, la frequente strizzata d’occhio al presente per non parlare dei transfert materialmente tradotti dalla contemporaneità per cui il nasino alla francese diventa il naso celtico, il toccarsi gli attributi diventa l’apotropaico e goliardico testiculos tangere. Alla traversata velica dell’Atlantico corrisponde la traversata in solitario del Mare Nostrum. Né mancano i richiami al latino proverbiale di Asterix a sua volta mutuato dal curialesco-filosofico che sempre è ufficialmente annunciato nel titolo (In corpore, vili, dura lex, in cauda venenum, Tabula rasa etc). Non manca, in questa ultima sua fatica una citazione, mutatis mutandis nientemeno di Totò: «Greci si nasce e io lo nacqui» per non parlare del coccodrillo sacro che richiama irresistibilmente quello di «Romancing the stone» (All’inseguimento della pietra verde).

Il protagonista fisso e seriale è Aurelio Stazio, senatore, intimo amico dell’imperatore Claudio per affinità intellettuali e affettive (è stato il suo primo e unico allievo nell’apprendimento dell’etrusco), donnaiolo impenitente, ricco, raffinato, elegante, curioso, affascinante. George Clooney sarebbe perfetto tanto per capirci, solo che al posto dello smoking d’ordinanza dovrebbe indossare una più impegnativa sinthesis, abito da sera per i pranzi di rappresentanza.

A differenza di altre storie Tabula rasa è ambientata fuori dell’Italia, in Egitto. E quale luogo migliore che la spettacolare, monumentale, raffinata, intrigante Alessandria? La metropoli multiforme, multietnica, incantatrice, coltissima, luogo privilegiato di scienziati, poeti, mercanti, ladri, funzionari, spie, etere (le escort dell’epoca) castrati, necrofori, lenoni, fattucchiere e tagliagole.

Qui il nostro Aurelio trova pane per i suoi denti: il governatore-prefetto d’Egitto moribondo per un male incurabile, sostituito da un vice improbabile con mogliettina ventenne, cleptomane e nevrotica e con mania di persecuzione (ma sarà poi una mania?), un principe parto in visita ufficiale con incarico diplomatico, un’etera costosissima inclusa nel pacchetto d’accoglienza del l’ambasciatore partico in visita ufficiale, una imbalsamatrice di cadaveri e un brulicare di spie in tutti i cantoni. Come se non bastasse, un coccodrillo sacro perennemente in agguato e, quasi subito un cadavere, anzi due, in differenti stadi di conservazioneputrefazione. Ça va sans dire che Il segugio più sagace dell’Urbe e dell’Orbe affida l’esame necroscopico alla imbalsamatrice la quale, dietro esoso compenso, legge un cadavere come un libro aperto, decifra la salma come un papiro dell’antico regno: trattasi di una ragazza di una ventina d’anni, che portava uno scialle di bisso giallo su cui si riesce ancora a leggere in greco la scritta «la splendente». Una giovane prostituta? Una ragazza della buona società? Lo stato di evoluzione delle larve di mosca fa pensare che la morte sia intervenuta da tre giorni, i segni sul collo, per strangolamento.

Il nostro eroe vorrebbe dedicarsi subito a quell’indagine ma intanto si è accorto che qualcuno gli ha soffiato la segretissima lettera credenziale dell’imperatore sulla base della quale egli risulta incaricato di una missione delicatissima: a Roma sono corse voci di possibili sabotaggi alle forniture di grano egiziano all’Urbe e di una misteriosa talpa che passerebbe informazioni riservate di natura militare e tecnologica al nemico (il perfido Parto) fra cui i piani di un ariete di ultima generazione, il top della poliorcetica che, se in possesso del nemico gli darebbe enormi vantaggi nel caso di un’invasione.

Quella di Aurelio è di fatto una lettera credenziale di pugno dell’imperatore che gli dà facoltà di condurre con l’ambasciatore parto, principe Orote, una serrata trattativa per stabilire un lungo periodo di pace fra le due superpotenze. L’arrivo di Orote ad Alessandria con relativi ricevimenti, il permesso di installarsi con la sua tendopoli nel cuore della città assieme alle amazzoni che costituiscono la sua guardia del corpo somiglia in modo impressionante al ricevimento a Roma del povero Gheddafi ma le sorprese non finiscono qui. La lettera rubata viene restituita ad Aurelio dal facente funzione di governatore con tante scuse per la povera mogliettina cleptomane psicopatica e il principone orientale sembra troppo idiota per poter condurre una trattativa così delicata. Insomma la matassa viene ingarbugliata a dover e perché poi il nostro Aurelio, padre coscritto, patrizio epicureo e brillante investigatore aiutato dall’infido ma costante liberto Castore, riesca alla fine (e chi potrebbe dubitarne?) a risolvere l’intricatissimo caso.

Ci troviamo insomma di fronte ad un caso in cui una persona abile e competente ha manipolato l’antichità con quel minimo di sfrontatezza che esige il registro comico ma pur sempre con il rispetto delle fonti, della scienza antichistica, antiquaria, epigrafica numismatica e quant’altro. Come dire: est modus in rebus.

Più volte si è tornati ad analizzare le ragioni del successo dell’antico, sia in letteratura che nel cinema, successo che sembra non conoscere tramonto e che suscita una miriade di narratori e anche di produttori cinematografici e televisivi. Pensiamo alla serie sulla storia di Roma uscita da Mondadori, alle mega serie televisive Rome e Spartacus. La prima veramente notevole, ahimé troppo tagliata nella versione italiana.

Certo, il fascino dell’antico è più che comprensibile specie se consideriamo quanto poco eccitante sia il presente. Altre epoche, scenari esotici, contrasti fortissimi, scenari meravigliosi fanno parte di questa fascinazione ma alla fine non v’è dubbio che vi siano in sostanza solo due generi di libri: quelli belli e quelli scadenti.

<<FONTE ilmessaggero>>

Interviste, Arezzo

 
Domenica 6 Novembre, alle ore 17, l’Autore presenterà il suo nuovo romanzo «Otel Bruni» al Giardino delle Idee (Via San Lorentino, 8 presso l’auditorium del Museo di Arte medioevale e Moderna). Intanto una anticipazione sul romanzo e sul suo Autore.



Quando ho chiuso il romanzo “Otel Bruni” a pagina 358, quando ho capito che la storia si chiudeva sull’ultimo ospite di questa accogliente stalla (un luogo magico che  racchiude in sé le anime dell’ostello, della taverna, dell’osteria, del convento e dello spedale), confesso di essermi commossa. Di quella commozione che è un misto di nostalgia (quella verso i personaggi che richiudi dentro le pagine e quella per il mondo che ti hanno raccontato), di malinconia (quella che non è tristezza ma riflessione profonda su ciò che si è appreso) e di tenerezza (per ogni singolo personaggio che ha transitato da quelle pagine agli occhi e da lì dritto alle emozioni). Avrei potuto giurare, chiudendo questo romanzo, che scriverne una recensione sarebbe stato facile; perché in fondo è facile scrivere e raccontare di qualcosa che ti è piaciuto tanto. E scopro invece, di fronte allo schermo, che è forse quella più difficile che mi sia trovata a scrivere fino ad ora. Perché in fondo – chi ha radici solide nel mondo contadino, proprio come me – questo romanzo in parte lo ha vissuto sulla propria pelle e ad ogni singolo personaggio della storia può attribuire un nome diverso, un volto, un suono di voce, un’inflessione dialettale ed una storia di vita, persino un abito e un odore, di alcuni può anche descriverne i gesti o il modo di camminare. Per questo è difficile: è come recensire la vita dei propri nonni, dei propri genitori e di parte della propria infanzia; è come entrare nei ricordi e ritrovare cose credute perse e vive dentro tanto da far male. Ma ci posso provare.
La famiglia Bruni è una famiglia che racconta la storia italiana dal primo decennio del 1900 fino alla fine della seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di un mondo contadino. Il tempio, il témenos, entro cui si snoda il racconto è la grande stalla (grande come una cattedrale) in cui – nelle serate invernali – si incontrano personaggi straordinari: viandanti, mendicanti, soldati, donne impazzite di dolore, aedi e narratori, filosofi e paesani, giovani che si innamorano e passioni politiche che si scontrano, contafavole e stranieri erranti. Chiunque viene accolto dalla grande famiglia Bruni, indipendentemente dalla sua storia (che non viene mai chiesta a nessuno) e indipendentemente dal motivo per il quale si trova a passare da lì. I protagonisti sono la Clerice e Callisto, una solida coppia, e i loro 9 figli, 7 maschi e due femmine. Ognuno, alla nascita, avrà nel cuore della madre un suo destino: Floti il più precoce a camminare, esplorare, parlare, sarà quello attraverso gli occhi del quale ci saranno narrati gli orrori della Prima Guerra Mondiale; poi c’è Francesco che impara a ridere prima che piangere e sorridere e che sarà piegato come un giunco dal dolore del lutto nella Seconda Guerra Mondiale. Gaetano, forte fin da piccolo e fragile per amore. E Armando, forse non troppo sveglio e fragile emotivamente ma che in ogni attimo della sua vita di marito dimostrerà quanto è grande la forza di un amore anche contro tutte le apparenze. E le femmine: Rosina e il suo destino di donna sposata ad un uomo geloso e gelosamente violento. Una donna che sa di non poter far altro che accettare di essergli moglie ma che rifiuta di accettare la costrizione. Maria, piccola e fragile ma solo in apparenza e con la forza di un mastino per difendere il suo amore e suo figlio. Una grande famiglia all’interno di un contenitore che è la memoria collettiva. Una famiglia in cui i valori della cristianità si mescolano a quelli della magia e ella superstizione e dove la stretta di mano ha lo stesso valore di un contratto. Dove l’amicizia e la solidarietà non sono sentimenti riservati alla ristretta cerchia del proprio mondo ma si espandono all’umanità dentro la quale c’è ognuno di noi. Illuminante il pensiero di Callisto (il reggitore della famiglia) quando ospitando ogni soldato che bussa alla sua porta durante la prima guerra mondiale spera in cuor suo che ci sarà qualcuno che ospiterà – in caso di bisogno – ognuno dei suoi sette figli.
È straordinario Valerio Massimo Manfredi a tratteggiare la storia volandoci sopra con singole e struggenti storie personali: il senso della politica, ad esempio, è racchiuso in un pensiero semplice e profondo allo stesso tempo, elaborato da uno dei nipoti della Clerice e di Callisto. Fabrizio incontra Rossano, il suo amico d’infanzia, con la divisa fascista (una ideologia che lui rifugge e combatterà come partigiano) e Rossano gli rivela che quell’uniforme è diventata il suo abito normale. Ed è lì che Fabrizio comprende che quando un’uniforme si identifica con la persona l’idea che rappresenta non è più politica ma religiosa e quando divide due amici cresciuti insieme non è una idea positiva. Semplice; ma ferocemente profondo.
La storia personale di una famiglia dentro la storia dell’uomo in un secolo cupo fra due guerre devastanti, il fascismo, le lotte di classe e la guerra civile. La storia di una famiglia che regge l’impatto con la crudeltà degli eventi perché sostenuta con forza dai quei valori che venivano trasmessi nella narrazione, in quelle notti fredde passate dentro una stalla tutti assieme a parlare di sé e di come va il mondo. Una storia fatte di paesaggi umani la cui bellezza nasce dal senso di “comunità” che trascende e sospende il giudizio sull’altro e dove l’altro è semplicemente colui che domani potrebbe sostenerti nel bisogno. Una storia che urla la nostalgia di un mondo in cui il fondamento della serenità era lo scambio umano e la parola attraverso cui ognuno esprimeva il senso profondo della sua esistenza.
La biografa dell’Autore è ricca e avventurosa: ha viaggiato veramente negli angoli più remoti del mondo, ci ha raccontato attraverso i suoi saggi ed i suoi romanzi la vita dell’uomo attraverso i secoli. Ha insegnato ai giovani il senso e il dono della memoria e della ricerca attraversando la storia da prestigiose cattedre universitarie nazionale ed estere. Lo abbiamo seguito in televisione con i suoi documentari. Raccontare la sua vita richiederebbe forse qualcosa di più di una semplice biografia che accompagna una recensione e per informazioni più dettagliate vi consiglio di visitare il suo sito ufficiale. http://www.valeriomassimomanfredi.it/tool/home.php   Qui basta ricordare che Valerio Massimo Manfredi è nato a Piumazzo di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, nel marzo del 1943. Si laurea all’Università di Bologna in Lettere Classiche e prosegue specializzandosi in Topografia del Mondo Antico presso l’Università dal Sacro Cuore di Milano fissando definitivamente il filo che legherà la sua vita all’archeologia ed alla storia. Partecipa a numerosi scavi in varie parti del mondo e produce non poche pubblicazioni a carattere accademico e scientifico. Nota la sua attività di conduttore televisivo di trasmissioni di divulgazione storico/archeologica e storica (“Stargate – Linea di confine” ed “Impero” sul LA7) Nel 2003 registra un documentario audio sulla figura di Alessandro Magno, usando il lavoro di ricerca svolto per la sua trilogia di romanzi di Aléxandros. È autore di soggetti e sceneggiature per la televisione e per il cinema.Nel 2003 registra un documentario audio sulla figura di Alessandro Magno, usando il lavoro di ricerca svolto per la sua trilogia di romanzi di Aléxandros. PNel 2003 registra un documentario audio sulla figura di Alessandro Magno, usando il lavoro di ricerca svolto per la sua trilogia di romanzi di Aléxandrosiù che noti i suoi romanzi tradotti in tutto il mondo (circa 8 milioni di copie vendute è la stima ufficiale). Fra i riconoscimenti ottenuti a livello internazionale spiccano: nel 1999 “Man of the Year” American Biographical Institute, Raleigh, North Carolina; nel 2003 nomina a Commendatore della Repubblica “motu proprio” del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, il premio Corrado Alvaro Rhegium Julii (2003) e premio Librai Città di Padova, nel 2004 il Premio Hemingway per la narrativa, e nel 2008 il premio Bancarella. Collabora con “Panorama”, “Il Messaggero” e “Airone”. Ha collaborato inoltre a “Archeo”, “Gente Viaggi”, “Traveller”, “Soprattutto”, “Primopiano”, “Grazia”, “Focus” (edizione italiana e spagnola) e con “El Mundo”.
INTERVISTA 
Laura – Innanzitutto, professore,  grazie per la disponibilità all’intervista e mi permetta di ringraziarla, ancora prima di cominciare, per un aspetto del suo romanzo che mi ha profondamente coinvolto. In “Otel Bruni” le donne hanno un ruolo fondamentale, non scontato. Lei ha tratteggiato la figura femminile definendola dignitosamente dentro le pieghe di una storia crudele ma esaltandola per il coraggio, per la forza, per la volontà e per la grande capacità di sopportare lutti e dolori con il pudore di chi è consapevole che di “dolore non si muore”. Io voglio ringraziarla per questo e per la capacità di non descrivere le donne solo come madri piangenti o mogli passive. Grazie per la carezza ideale e per la delicatezza che ha riservato alle donne ammalate, a quelle anziane, a quelle folli, a quelle innamorate e a quelle rassegnate.
Passo subito alle domande: il suo romanzo è ambientato in luoghi dove lei è nato. La narrazione è intensa, toccante, profondamente emotiva. La sensazione è quella di leggere un intimo diario, un percorso personale di ricerca del sè attraverso la memoria collettiva. Sbaglio?
VALERIO – Non sbaglia affatto. I Bruni erano il ramo materno della famiglia di mia  madre. In altri termini Maria Bruni, uno dei personaggi più importanti del  romanzo, era mia nonna. Queste storie le ho sentite raccontare in famiglia  tante volte così ho finito per credere che fosse tutto normale cosa che non è. Le donne vi hanno una parte importante perché così era. L'arzdoura, ossia la  "reggitrice", era il titolo che competeva alla madre di famiglia che godeva di grande prestigio sia in famiglia che fuori.  È una vicenda  formidabile, magica, drammatica, incredibile. Quando me ne sono accorto ho pensato fosse venuto il tempo di raccontarla. In più quel mondo, il mondo contadino che non esiste più, andava tramandato alla memoria.
Laura – La storia della famiglia Bruni ha un tema conduttore che culmina nel finale: è il tema di una famiglia che “accoglie”, che ascolta, che si prende cura dell’uomo attraverso l’ospitalità, indipendentemente dall’uomo che si ospita e sospendendo il giudizio sull’altro. Che valore attribuisce a questo comportamento umano?
VALERIO – Era un comportamento ispirato dalla formazione cristiana, il concetto che  tutti sono il prossimo, che nel più miserabile dei viandanti e dei senzatetto, può nascondersi Dio stesso che un giorno terrà conto di come lo  abbiano accolto sotto le spoglie di un mendico che non avrebbe mai potuto ricambiarci. È anche una necessità di quel tipo di vita: aiutarsi l'un l'altro rendeva possibili grandi opere come l'aratura, la trebbiatura, la battitura della canapa. Tuttavia l'ospitalità dei Bruni era fuori dal comune  tanto che divenne proverbiale e la loro stalla enorme come una cattedrale fu il luogo di accoglienza di chiunque, passando nella notte, sorpreso da un temporale o da una tormenta di neve, chiedesse ospitalità e rifugio. Oggi abbiamo conquistato condizioni di vita più agiate, viviamo più a lungo e il cibo non manca a nessuno ma non possiamo più permetterci di accogliere chiunque per timore di essere derubati, picchiati, a volte uccisi. Viviamo con  sistemi d'allarme e porte blindate. Tutto si paga.
Laura – Leggendo il suo romanzo ho avuto l’impressione che il sentimento dominante sia la “nostalgia”, non quella intesa come malattia dell’animo umano o quella dell’Ulisse inquieto; la nostalgia, piuttosto, che tende al passato per recuperarne il senso e soprattutto ciò che è ritenuto migliore del qui ed ora. Se non ho sbagliato interpretazione: lei, cos’ha ritrovato attraverso questo romanzo?
VALERIO – Ho riesplorato ciò che in realtà già sapevo: che un vero uomo è generoso, onesto, che mantiene la parola data, che sta sempre dalla parte dei deboli contro i più forti e arroganti, che rispetta le donne ed è baluardo e protezione per la sua famiglia. Certo: nostalgia. Quando vedo ragazzotti  viziati e maleducati mancare di rispetto agli anziani, ignorare chi ha bisogno, deridere o insolentire chi è troppo lento ad attraversare le strisce non per pigrizia ma per età avanzata. Quando li vedo appesi a un cellulare per ore, o incollati a una playstation tutto il giorno invece che a fare qualcosa di utile e guadagnare qualcosa di ciò che stanno spendendo. Quando li vedo petulanti, superficiali, insofferenti di qualunque sacrificio o disciplina, sì, la nostalgia viene. Per fortuna ve ne sono ancora di molto bravi e capaci. Speriamo.
Laura – L’Otel Bruni è anche un luogo simbolico, è il luogo dove le famiglie contadine si raccoglievano per parlare, per passare le serate durante le “veglie” invernali. Una tradizione in parte persa, di cui resta traccia forse nella memoria di bambino di chi ha la mia età (perché io me lo ricordo bene il calore della stalla a dicembre e la voce del rimatore che cantava e il caffè d’orzo bollente…). Leggendo questa storia ho avuto la sensazione netta (e prima solo abbozzata) che la nostra cultura ha perso il gusto della parola e con essa il gusto di narrarsi. Che prezzo paghiamo o pagheremo per questo?
VALERIO – Il prezzo già abbastanza alto dell'emarginazione, della solitudine o della  socialità elettronica cioè virtuale. La parola è una necessità  per gli esseri umani e lo prova il fatto che (grazie a Dio) ancora si riempiono le piazze con i festival della letteratura e della filosofia.
Laura – Rispetto alla sua precedente  produzione letteraria, questo romanzo ha un’ambientazione narrativa completamente diversa e sembra davvero scritto come per una emergenza emotiva. Come è nata dentro di lei questa storia? C’è un evento che l’ha ispirata?
VALERIO – Sì, c'è. Mio figlio Fabio Emiliano ha scelto come tesi di laurea triennale di riesumare un "cold case", un caso irrisolto di omicidio avvenuto al mio paese il 19 maggio del 1946 e di cui fu accusato e condannato Armando Bruni. Il ragazzo ha svolto un lavoro straordinario arrivando di fatto a ribaltare il verdetto della corte. Il cerchio era chiuso. Era venuto il tempo di raccontare la storia dei Bruni.
Laura – Chi ha letto o leggerà il suo romanzo si renderà conto che questo evento è un episodio importante nel pre-finale del suo racconto; ma a questo punto viene voglia di chiedere a suo figlio se non potrebbe raccontarcelo anche a noi il “cold case” attraverso un racconto o un breve romanzo. Anche perché è difficile adesso reggere l’impatto con la curiosità di sapere tutto su questo thriller storico-legale!
Ancora una domanda: ce lo consiglia un libro, uno di quelli che le hanno lasciato dentro le emozioni più forti?
VALERIO – Le «Novelle» di Giovanni Verga. Lo trovo insuperabile.
Laura – Adesso le  propongo un gioco, che ho proposto ad ogni Autore intervistato. "C'era una luce strana, quella mattina, come se facesse fatica a superare un immaginario ostacolo...". Continui lei l’ipotetico incipit…
VALERIO – C'era una luce strana, quella mattina, come se facesse fatica a superare un immaginario ostacolo. Pensai che fosse l'effetto dell'ora legale che si lasciava indietro il sole, ma non era quello: ero abituato ad aspettare il sole e a misurarne la luce. E non era solo una questione di luce: i merli tacevano, e si sentiva invece, in lontananza, il verso lamentoso e insistente dell'assiolo. Infilai una vestaglia e scesi la scala principale. Il suono dei miei passi avvertiva di solito la mia cameriera che stavo arrivando e le dava il tempo di versare dalla cuccuma il caffè bollente in una  chicchera di Sèvres. Ma Lina non c'era e la cucina era in perfetto ordine. L'orologio era fermo. Mia moglie non c'era ma non c'era nemmeno lo sticker  giallo appiccicato alla porta in cui spiegava che era in palestra e che  sarebbe tornata prima delle dieci.  Non l'aveva mai dimenticato una volta sola. Cercai di chiamarla con il cellulare ma non c'era linea e nemmeno nel telefono fisso.
Il mio pastore tedesco non era seduto  davanti alla porta aspettando come tutte le sante mattine la crocchetta di pollo. Del mio mondo non stava funzionando niente!
Laura – Vorrei spudoratamente chiederle di iniziare da qui il suo prossimo romanzo perché le giuro che sono curiosissima di sapere cos’ha alterato il normale andamento temporale della vita di quest’uomo! La ringrazio ancora. 
Visualizzo 3 commenti
  • Antonio 6 giorni fa
    Stupendo Valerio Massimo Manfredi, e stupenda Laura da questa intervista emerge ciò che stiamo perdendo in termini di valori rispetto, altruismo, dovere. Una memoria storica, quella dei "vecchi" che non va persa, perchè ha la capacità di insegnare cose che non si trovano sempre nei libri. Il mio lavoro è per una grossa parte con gli anziani e l'insegnamento che viene da loro è ancora tramandato raccontando storie, storie di vita, alcune volte belle altre brutte, ricordi di giovinezza che diventano storie di "vecchi".
  • Serena 5 giorni fa
    Sono rimasta veramente colpita dalla storia e dalla bellezza di questa intervista. Attraverso le parole di entrambi, sembra quasi di fare un tuffo nel passato, un passato non così remoto come pare, anzi molto vicino; per un attimo mi è sembrato di sentire i racconti di mia nonna e di ritrovarmi nella sua cucina piccola, ma piena d'amore e d'accoglienza, sentimenti e se vogliamo atteggiamenti che sembrano ormai persi. Abbiamo perso molto in questi anni, in primis il rispetto verso gli altri e la volontà, il desiderio di condividere con loro piuttosto che lottare contro loro...grazie veramente di cuore.

    P.s. non vedo l'ora di partecipare alla presentazione
  • Maria Grazia Fantoni 1 giorno fa
    Non ho ancora letto il romanzo, l' ho acquistato solo ieri quando sono andata alla presentazione fatta con il suo autore; che devo dire semplicemente straordinario e carismatico.... e si anche io come Serena mi sono ritrovata in quella stalla o nel canto del fuoco con i miei nonni e la mia famiglia tutta ... in quelle sere d' inverno, lì dove si raccontavano le storie più disparate e dove l' accoglienza era semplicemente vita di tutti i giorni senza avere paura di essere rapinati od uccisi, semplicemente aiutare persone in difficoltà o semplicemente stanche.
    Grazie anche a Laura che ha fatto una intervista vera e incisiva.
    Maria Grazia 
     
    <<FONTE informarezzo>>