
Per gli amanti della Storia e del
romanzo storico italiani i nomi di Valerio Massimo Manfredi e di
Alessandro Barbero sono una garanzia: il primo ha scritto numerosi
romanzi tra Storia e realtà e saggi sull’antichità, il secondo ha
affiancato all’attività di storico quella di romanziere, con Gli occhi di Venezia.
Parlando con loro si capisce di quanto la nostra vita non possa
prescindere dalla memoria di chi ci ha preceduto e ci ha aiutati a
diventare quello che siamo.
Ma due storici come immaginano il futuro, proiettati così come sono nel passato?
«Il futuro è una brutta bestia», dice Alessandro Barbero, «ed è una caratteristica della nostra epoca non riuscire ad immaginarlo. Del resto, nel 1857 Cavour rispose che erano corbellerie a chi gli prospettava come prossima l’Unità d’Italia, non perché non ci credesse ma perché la vedeva come cosa molto più remota e lontana. Diciamo che un tempo c’era l’idea che il futuro avrebbe portato cose buone, oggi questo c’è meno e si tende invece a deformare il passato a proprio vantaggio».
Ma che differenza c’è tra scrivere di Storia e scrivere un romanzo storico?
«Il punto è che la mente umana cerca di arrivare alla verità, che è irraggiungibile», ricorda Valerio Massimo Manfredi, «la Storia è passato, ma è attuale solo nella misura in cui la consideriamo. Narrare la Storia è nato prima della ricostruzione storica stessa, Omero è venuto prima di Tucidide, e ci racconta una storia meravigliosa, quella di barbari micenei che diventano eroi. A noi non basta mai la vita che abbiamo, la nostra mente ha bisogno di essere riempita con avventure, anche perché nessuno di noi può vivere senza memoria, senza identità, senza emozioni, e quando scrivo sono io per primo a provare le emozioni che devo comunicare».
Pur avendo scelto di raccontare storie ambientate in epoche diverse, i libri di Valerio Massimo Manfredi e di Alessandro Barbero sono accomunati da una narrazione appassionante di fatti di solito freddi e da personaggi che non ci sono nelle storie ufficiali che sanno affascinarti.
«Se si scrive un romanzo storico non si può evitare di fare un confronto con Manzoni», dice Barbero, «che aveva il progetto ideologico di parlare degli umili, e non di Re e Papi, anticipando la storiografia moderna. Certo, quando si parla di contadini nella Storia non si parla mai del singolo contadino, quello spetta al romanziere».
Ma quanto è importante la Storia per capire la nostra identità, sopratutto in un anno come questo?
«Ho riletto l’altro giorno le Res Gestae di Augusto, l’imperatore che ha creato non solo l’impero romano, ma l’Occidente come oggi lo conosciamo ancora, che dice Nelle mie mani giurò spontaneamente tutta l’Italia», dice Manfredi e continua «vorrei sapere se esiste un altro Paese che ha un atto costitutivo così forte.»
«Vorrei aggiungere una cosa sull’Italia», ricorda invece Barbero, «quando oggi ci dicono che l’Italia non esisteva, che era disunita, in realtà è dal XIV secolo che chiunque abbia voluto scrivere qualcosa in Italia si sforza di farlo in italiano e non in latino o in dialetto. In città come Costantinopoli esisteva la Società Italiana degli Operai, di cui fece parte Garibaldi prima dell’impresa dei Mille».
«Infatti ci hanno sempre chiamati tutti italiani», continua Manfredi, «anche perché si critica come è nato il nostro Paese, ma in fondo la Spagna è nata da un matrimonio, altri Paesi come Belgio, Olanda, Iraq e Senegal sono nati a tavolino. Noi ci siamo da 25 secoli.»
Valerio Massimo Manfredi e Alessandro Barbero vivono per molto tempo nel passato, con persone che parlavano lingue come il latino o il greco, spesso in tempi recenti disprezzate per la loro presunta inutilità.
«Quando un ragazzo mi chiede a cosa serve il greco antico, io gli rispondo a niente e per questo è indispensabile», dice Manfredi, «mi è capitato di leggere una lettera di Frontone all’imperatore Marco Aurelio, in cui gli racconta la sua giornata che ha vendemmiato e poi è andato a trovare la nonna che stava male e le ha letto una poesia di Virgilio. In quel momento io parlo con l’imperatore dei romani e scopro che condividiamo la stessa umanità. E per apprezzare queste cose serve la cultura, che te la può trasmettere solo una scuola pubblica che funziona, io ho potuto studiare grazie alla scuola pubblica».
«E poi il greco e il latino sono due lingue che sono state usate per 1500 anni», ricorda Barbero, «non conoscerle significa non riuscire a parlare con la stragrande maggioranza delle persone vissute sulla Terra».
Parlando di fatti più recenti, come la Resistenza, come si può conciliare la memoria con la Storia?
«Una famiglia antifascista avrà una memoria diversa dei fatti che non una famiglia fascista», dice Barbero, «ma la Storia vuol dire guardare oltre il tuo naso, confrontando la propria memoria con quella degli altri. Negli Stati Uniti nell’Ottocento c’è stata una Guerra civile, il Sud ha perso, oggi l’argomento è conosciutissimo, ma tutti sono d’accordo che è andata bene che i fatti si siano svolti così e non ci sono più strumentalizzazioni politiche. Il passato non è chiuso e non va mai strumentalizzato».
Il mondo classico cadde di fronte all’incalzare dei barbari, che oggi viene a volte rievocato per scatenare la paura dello straniero e dell’immigrato.
«Barbaro è una parola greca, che indica tutti quelli che non parlavano la lingua greca, poi i Greci si accorsero che c’erano barbari più forti di loro, i Romani, e così i barbari diventarono quelli che non sapevano latino e greco. Ognuno è sempre il barbaro di qualcun altro», dice Barbero.
«I barbari erano comunque attirati dall’Impero romano, dove c’erano strade lastricate, biblioteche, terme, portici, ed era un po’ quello che oggi fa la tv verso le popolazioni più disperate. L’Impero romano è poi crollato per vari motivi, ma quelli chiamati barbari, allora come oggi, l’hanno salvato per lungo tempo, la strada è l’assimiliazione di modo che le varie culture possano convivere», ricorda Manfredi e aggiunge: «Inaccettabile comunque che in Parlamento sieda una forza politica che disprezzi l’Unità, costruita con il sangue di tutti gli italiani, che parli di un’entità territoriale che non è mai esistita, che si dimentichi che già nell’antichità erano italiani e romani personaggi nati al di fuori come Seneca, Virgilio, Plinio».
La Storia per capire il presente, l’appassionarsi a fatti lontani per diventare più consapevoli della propria vita e del proprio ruolo adesso.
Ma due storici come immaginano il futuro, proiettati così come sono nel passato?
«Il futuro è una brutta bestia», dice Alessandro Barbero, «ed è una caratteristica della nostra epoca non riuscire ad immaginarlo. Del resto, nel 1857 Cavour rispose che erano corbellerie a chi gli prospettava come prossima l’Unità d’Italia, non perché non ci credesse ma perché la vedeva come cosa molto più remota e lontana. Diciamo che un tempo c’era l’idea che il futuro avrebbe portato cose buone, oggi questo c’è meno e si tende invece a deformare il passato a proprio vantaggio».
Ma che differenza c’è tra scrivere di Storia e scrivere un romanzo storico?
«Il punto è che la mente umana cerca di arrivare alla verità, che è irraggiungibile», ricorda Valerio Massimo Manfredi, «la Storia è passato, ma è attuale solo nella misura in cui la consideriamo. Narrare la Storia è nato prima della ricostruzione storica stessa, Omero è venuto prima di Tucidide, e ci racconta una storia meravigliosa, quella di barbari micenei che diventano eroi. A noi non basta mai la vita che abbiamo, la nostra mente ha bisogno di essere riempita con avventure, anche perché nessuno di noi può vivere senza memoria, senza identità, senza emozioni, e quando scrivo sono io per primo a provare le emozioni che devo comunicare».
Pur avendo scelto di raccontare storie ambientate in epoche diverse, i libri di Valerio Massimo Manfredi e di Alessandro Barbero sono accomunati da una narrazione appassionante di fatti di solito freddi e da personaggi che non ci sono nelle storie ufficiali che sanno affascinarti.
«Se si scrive un romanzo storico non si può evitare di fare un confronto con Manzoni», dice Barbero, «che aveva il progetto ideologico di parlare degli umili, e non di Re e Papi, anticipando la storiografia moderna. Certo, quando si parla di contadini nella Storia non si parla mai del singolo contadino, quello spetta al romanziere».
Ma quanto è importante la Storia per capire la nostra identità, sopratutto in un anno come questo?
«Ho riletto l’altro giorno le Res Gestae di Augusto, l’imperatore che ha creato non solo l’impero romano, ma l’Occidente come oggi lo conosciamo ancora, che dice Nelle mie mani giurò spontaneamente tutta l’Italia», dice Manfredi e continua «vorrei sapere se esiste un altro Paese che ha un atto costitutivo così forte.»
«Vorrei aggiungere una cosa sull’Italia», ricorda invece Barbero, «quando oggi ci dicono che l’Italia non esisteva, che era disunita, in realtà è dal XIV secolo che chiunque abbia voluto scrivere qualcosa in Italia si sforza di farlo in italiano e non in latino o in dialetto. In città come Costantinopoli esisteva la Società Italiana degli Operai, di cui fece parte Garibaldi prima dell’impresa dei Mille».
«Infatti ci hanno sempre chiamati tutti italiani», continua Manfredi, «anche perché si critica come è nato il nostro Paese, ma in fondo la Spagna è nata da un matrimonio, altri Paesi come Belgio, Olanda, Iraq e Senegal sono nati a tavolino. Noi ci siamo da 25 secoli.»
Valerio Massimo Manfredi e Alessandro Barbero vivono per molto tempo nel passato, con persone che parlavano lingue come il latino o il greco, spesso in tempi recenti disprezzate per la loro presunta inutilità.
«Quando un ragazzo mi chiede a cosa serve il greco antico, io gli rispondo a niente e per questo è indispensabile», dice Manfredi, «mi è capitato di leggere una lettera di Frontone all’imperatore Marco Aurelio, in cui gli racconta la sua giornata che ha vendemmiato e poi è andato a trovare la nonna che stava male e le ha letto una poesia di Virgilio. In quel momento io parlo con l’imperatore dei romani e scopro che condividiamo la stessa umanità. E per apprezzare queste cose serve la cultura, che te la può trasmettere solo una scuola pubblica che funziona, io ho potuto studiare grazie alla scuola pubblica».
«E poi il greco e il latino sono due lingue che sono state usate per 1500 anni», ricorda Barbero, «non conoscerle significa non riuscire a parlare con la stragrande maggioranza delle persone vissute sulla Terra».
Parlando di fatti più recenti, come la Resistenza, come si può conciliare la memoria con la Storia?
«Una famiglia antifascista avrà una memoria diversa dei fatti che non una famiglia fascista», dice Barbero, «ma la Storia vuol dire guardare oltre il tuo naso, confrontando la propria memoria con quella degli altri. Negli Stati Uniti nell’Ottocento c’è stata una Guerra civile, il Sud ha perso, oggi l’argomento è conosciutissimo, ma tutti sono d’accordo che è andata bene che i fatti si siano svolti così e non ci sono più strumentalizzazioni politiche. Il passato non è chiuso e non va mai strumentalizzato».
Il mondo classico cadde di fronte all’incalzare dei barbari, che oggi viene a volte rievocato per scatenare la paura dello straniero e dell’immigrato.
«Barbaro è una parola greca, che indica tutti quelli che non parlavano la lingua greca, poi i Greci si accorsero che c’erano barbari più forti di loro, i Romani, e così i barbari diventarono quelli che non sapevano latino e greco. Ognuno è sempre il barbaro di qualcun altro», dice Barbero.
«I barbari erano comunque attirati dall’Impero romano, dove c’erano strade lastricate, biblioteche, terme, portici, ed era un po’ quello che oggi fa la tv verso le popolazioni più disperate. L’Impero romano è poi crollato per vari motivi, ma quelli chiamati barbari, allora come oggi, l’hanno salvato per lungo tempo, la strada è l’assimiliazione di modo che le varie culture possano convivere», ricorda Manfredi e aggiunge: «Inaccettabile comunque che in Parlamento sieda una forza politica che disprezzi l’Unità, costruita con il sangue di tutti gli italiani, che parli di un’entità territoriale che non è mai esistita, che si dimentichi che già nell’antichità erano italiani e romani personaggi nati al di fuori come Seneca, Virgilio, Plinio».
La Storia per capire il presente, l’appassionarsi a fatti lontani per diventare più consapevoli della propria vita e del proprio ruolo adesso.
<<FONTE rivistahydepark>>
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